mercoledì 13 gennaio 2010

La ricerca scientifica scopre l'intelligenza delle Piante; la Religione Pagana già la conosceva nel suo abitare il mondo.


La ricerca scientifica, ogni volta che approfondisce un aspetto del mondo in cui viviamo, altro non fa che confermare le visioni proprie della religione Pagana.
I Pagani non hanno mai dubitato che le piante fossero intelligenti, sensibili, portatrice di strategie, di progetti di sviluppo e di scopi.
Il fatto che noi umani scopriamo solo ora il linguaggio “chimico” avendo sempre tenuto in gran conto il linguaggio verbale, il verbo dei cristiani, ciò non toglie che, comunque, sappiamo decifrare, quando non siamo in ginocchio davanti al dio padrone cristiano, anche i linguaggi chimici e le emozioni che veicolano fornendo delle risposte al mondo in cui viviamo. L’uomo ha sempre riconosciuto l’intelligenza delle piante, solo gli ebrei e i cristiani hanno negato quell’intelligenza facendo della Natura una creazione del loro padrone.
Riporto l’articolo dal giornale La Repubblica del 12 gennaio 2010


Piante
Sensibili a parole e carezze
anche loro hanno un’anima
Andrea Tarquini


Ascoltare una voce amica e suadente fa bene, una carezza influenza il comportamento, ti muovi sul tuo territorio tastandolo, attento ai segnali ostili. Finora pensavamo che solo il genere umano e gli animali avessero queste doti. Invece no: anche nel mondo della botanica sensazioni, percezioni e valutazione del momento, quasi un embrione d´intelligenza e di anima, esistono. Ce lo rivelano studi scientifici dell´università di Bonn e di ricercatori americani. Il suono d´una voce che ti saluta fa bene alle piante, le radici orientano la loro crescita sotterranea e dialogano tra loro con emissioni di sostanze chimiche, alcuni fiori reagiscono al contatto con la mano dell´uomo, altri attirano gli insetti producendo più polline, perché in cambio gli insetti li liberano dai parassiti. Attenti ogni volta che comprate una pianta, per il giardino, per il balcone, la finestra o il salotto. Anche le piante hanno un´anima, una vita di emozioni. Lentissima, rispetto a uomini e animali, perché il mondo della botanica non dispone di un sistema nervoso, ma funzionante e da rispettare. «Per noi esistono pochissime differenze tra il mondo botanico e la fauna», spiega il professor Dieter Volkmann, dell´università di Bonn, al quotidiano tedesco Die Welt che al tema ha dedicato un paginone. «Le piante - spiega - non hanno nervi come il genere umano o le specie animali, ma dispongono di strutture paragonabili». I segnali chimici viaggiano attraverso una pianta a velocità infinitamente più lenta che non nel corpo umano: un centimetro al secondo, 10mila volte meno veloce che dalla pelle umana al cervello. Eppure il segnale comunica messaggi. Questa "anima delle piante" si esprime in diversi modi. Le radici riconoscono se crescono vicino ad altre piante della stessa specie, e allora limitano la loro crescita per non sottrarre spazio vitale. Oppure deviano il loro sviluppo da ogni punto del terreno in cui sentono sostanze nocive. E non è finita. Gli esperimenti hanno provato che se coltivi due piante di pomodoro una vicino all´altra, e parli con una più che con l´altra, la prima cresce meglio. Forse è così anche perché parlando l´essere umano emette anidride carbonica, vitale per le piante. Ma è noto il recente esperimento in Toscana, di vitigni cresciuti meglio al suono della musica di Mozart. La reazione agli stimoli esterni è anche tattile: la mimosa è una delle piante più veloci a reagire. Se accarezzi una foglia, la chiude, e la riapre dopo pochi minuti. Scienziati californiani hanno coltivato due piante di semi di senape, quella carezzata è cresciuta bassa e larga, quella ignorata si è sviluppata solo in altezza. Non mancano i sistemi di autodifesa. L´acacia è capace di reagire alla minaccia degli animali che divorano le sue foglie: quanto più a lungo vengono mangiate, tanto più velocemente aumenta nel loro tessuto la concentrazione di sostanze tossiche. Attenti alle piante, dunque. Almeno un quarto delle donne che le coltivano in casa parlano con loro. Molto più rari in questa abitudine sono gli uomini. Il più famoso è il principe Carlo del Regno Unito. Guarda caso, l´estetica del giardinaggio inglese è ritenuta la più raffinata del mondo.

Tratto da:
http://stage7.presstoday.com/_Standard/Articles/17365051

Non è mai esistita una ricerca scientifica che abbia dimostrato una qualche forma di razionalità nelle credenze cristiane. Invece, la ricerca scientifica non fa altro che trovare prove e riscontri sull’amore per la vita della Religione Pagana che considera l’uomo parte e divenuto nella Natura. La ricerca scientifica conferma l’idea del mondo che l’uomo Pagano si è fatto nel suo abitare il mondo e la validità delle strategie per modificarsi in esso. Una fra le tante specie della Natura.
Il Pagano non nega alle piante la loro intelligenza o le loro strategie d’esistenza, riconosce la diversità anche quando non è in grado di descrivere, mediante la ragione, le peculiarità di intelligenze divenute e sviluppatesi in maniera diversa dalla sua.
C’è un aspetto che la ricerca scientifica non ha ancora affrontato ed è che la comunicazione fra i viventi, al di là di come i viventi la mettono in atto, non è altro che un supporto razionale che serve come mezzo per veicolare la comunicazione emotiva.

Nel riquadro dell’articolo stampato, ci sono varie osservazioni sulle reazioni delle piante. Ce né una che dice:

“Se si coltivano due piante di pomodoro una vicina all’altra, e si parla più verso una che verso l’altra, la prima cresce meglio.”

La questione non è il suono o le parole, ma la veicolazione delle emozioni di chi parla verso la pianta a cui la sua parola si dirige. Si costruisce un legame emotivo che favorisce la crescita.
A noi non interessa dimostrarlo. Sappiamo com’è, come si esprime e come lo possiamo usare nel nostro abitare il mondo.

13 gennaio 2010
Claudio Simeoni
Meccanico
Apprendista Stregone
Guardiano dell’Anticristo
P.le Parmesan, 8
30175 – Marghera Venezia
Tel. 3277862784
e-mail claudiosimeoni@libero.it

lunedì 11 gennaio 2010

I veneti antichi nelle ipotesi di Pier Favero dal libro "La Dea Veneta"


FOTO: La mostra sugli Antichi Veneti, gli Dèi dei Veneti e gli Antichi nel loro abitare il mondo che si tenne a Padova nella Loggia della Gran Guardia in Piazza dei Signori nel settembre del 2009.
Noi, educati nel cristianesimo, quando guardiano alla storia tendiamo sempre a cogliere un processo “lineare” all’interno di un vortice di situazioni estremamente complesse. Abbiamo la tendenza a comprimere il tempo passato in un insieme di presenti ravvicinati, attraverso una scelta di singoli avvenimenti che appaiono uno causa e prologo di un altro.
Quando parliamo di epoche prive di scrittura, dimentichiamo che spesso fra un avvenimento e l’altro passano decine di anni, a volte centinaia e migliaia di anni. Comprendono un gran numero di generazioni e un infinito numero di attimi, secondi di tempo, vissuti da centinaia di migliaia di persone che hanno agito e modificato il loro presente.
Nel scegliere i singoli avvenimenti (dove la scelta è in funzione di ciò che vogliamo dire) selezioniamo, scartiamo, giudichiamo, censuriamo o mettiamo in rilievo, gli aspetti che maggiormente ci interessano.
Ne nasce sempre un quadro, uguale e diverso, di avvenimenti passati che, sia che piaccia o meno, si risolvono tutti nella costruzione del nostro presente quotidiano nel quale rivendichiamo qualcosa come dovuto per ciò che gli “antenati” fecero.
Il Gazzettino pubblica aspetti del libro di Pier Favero che voglio portare all’attenzione:

Tratto dal quotidiano Il Gazzettino


Venerdì 8 Gennaio 2010,

Una decina di grandi insediamenti, dalla Paflagonia (nell’Anatolia centro-settentrionale) alla Bretagna, dal Peloponneso alla Lusazia (nord della Polonia), dalla Pelagonia (Macedonia) al Galles: è la geografia della dislocazione degli antichi Veneti, secondo alcune ricostruzioni in polemica con l’archeologia ufficiale, rilanciate nel nuovo libro di Piero Favero "La dea Veneta - Dal Baltico alla Bretagna", edito da Cierre (€ 14). Un popolo migrante, stando alla studioso (che ha già all’attivo i libri "L’oro di San Marco" e "La Marca gioiosa"), unito nella "civiltà dei campi di urne (dal tipo di sepolture praticato) e dal culto della dea Reitia, di cui è conservata una statua nel Museo Atestino (nella foto a destra). Pubblichiamo un brano dal libro.

E ancora

Venerdì 8 Gennaio 2010,

Ci vuole abbastanza coraggio per sostenere, come fa l’archeologia ufficiale, che il trovare in Europa un cospicuo numero di popoli con lo stesso nome sia solo un capriccio del caso dovuto a somiglianze fonetiche. Senza contare che quasi tutti questi pseudo-Veneti sparsi per l’Europa erano grandi navigatori e viaggiatori (i Wendi del Baltico, i Veneti di Bretagna) e avevano tutti in comune il culto del cavallo e, ancora, tutti accendevano roghi votivi quale elemento centrale delle cerimonie di culto. Tutto ciò che concerne l’origine e l’identità di Reitia, la somma dea dei Veneti, è avvolto in un fitto mistero. Pochissimi i reperti che la ritraggono. Il disco bronzeo di Montebelluna ci mostra un’elegante dea con la chiave magica in mano in compagnia di un lupo e un’anatra dalle zampe palmate. (...) Il mito di Antenore non deve far ritenere che i Veneti abbiano avuto una sola migrazione: nel corso della loro lunga storia probabilmente ci sono stati più episodi di spostamenti. Per cui, se le migrazioni e gli influssi culturali dei Veneti furono un processo «continuo» (...) É logico pensare a dei «corridoi» preferenziali in cui lo scambio commerciale, culturale e di popolazione avveniva in entrambe le direzioni e comunque principalmente lungo il vasto ponte tra Anatolia - Macedonia - Alpi Orientali - Baltico e, prima, lungo il corridoio Ponto-Baltico: Paflagonia - Mar Nero - Fiumi dell’Europa Orientale - Lusazia. Queste due famose strade dell’ambra, la via Transalpina e la via Ponto-Baltica, sono in assoluto le più antiche rotte a lunga distanza di tutta l’Europa; dalla loro traccia originarono le vie di comunicazioni dell’età del Bronzo, nel secondo millennio a. C. (anteriormente dunque al 1300 a.C. ed alla Cultura dei campi di urne). Alcuni ricercatori si sono lasciati affascinare dalla nozione dei Veneti come una delle primissime civiltà che hanno colonizzato il continente europeo. I vari toponimi veneti, oggi così distanti fra loro nella mappa geografica, forse un tempo erano legati ad una rete intessuta tra numerose tribù venete che occupavano una vasta regione dall’Anatolia al Baltico. Durante l’epoca della Cultura dei campi di urne l’area veneta era un territorio contiguo, poi, a causa delle espansioni di altre stirpi, si sarebbe ridimensionata in isole non più comunicanti. Ancora prima di quell’epoca gli Ittiti, i Frigi e gli antenati dei Troiani (Wilusa) avrebbero già separato gli Eneti della Lidia (Lukka) e del lago Van da quelli della Paflagonia. Poi nei Balcani gli Illiri, di lingua diversa dal venetico, avrebbero scompaginato e messo in movimento le tribù veneto della Pelagonia (800 a.C.); in seguito in Europa centrale, l’espansione demografica celtica prima ed i feroci attacchi dei Germani poi, avrebbero isolato i Veneti baltici e bretoni da quelli della Baviera e delle Alpi orientali. I romani a loro volta avrebbero controllato e circoscritto le zone di influenza veneta. Per arrivare infine alla emarginazione riservata dalle grandi nazioni odierne ad una popolazione saccheggiata del proprio patrimonio culturale e oramai ridotta ovunque minoranza etnica, sebbene di antichissima ascendenza e formazione. Da questo quadro generale affiorerebbe dunque un civiltà importante ed omogenea, improntata ad una fortissima religiosità; civiltà che, all’alba dell’epoca storica, prima dei Greci e prima dei Romani, avrebbero posto le fondamenta culturali e genetiche dell’Europa.


*da "La dea veneta" Ed. Cierre

di Pietro Favero*



E’ una visione del passato che, come “fatto storico”, vuole stabilire un “inizio” dal quale partire per interpretare degli avvenimenti. Sicuramente in Europa ci fu una civiltà estesa dal mediterraneo al Baltico prima del 1000 a.c. Ma di essa non conosciamo nulla. Possiamo solo immaginare dai reperti che qua e là riaffiorano. Sicuramente, per quanto è stato accertato, gli Esseri Umani, nella forma attuale, provengono dall’Africa. Sicuramente hanno occupato il pianeta in un continuo andare e venire. Gli studiosi attuali dicono che la lingua dei veneti era affine al latino, ma certamente quando arrivarono, con le buone o con le cattive, si fusero con le popolazioni già presenti in Veneto. Per cui, dire che i “veneti” arrivarono è scorretto se riferito alla popolazione del Veneto. Alcuni arrivarono, altri erano già presenti (vedi la fusione con i popoli Euganei ), la popolazione e la cultura che sorse non era né l’una né l’altra, ma un’integrazione. Lo stesso alfabeto dei veneti era l’alfabeto etrusco.
Dobbiamo uscire dall’ottica razzista cristiana che vede una razza imporsi sull’altra. Lo stesso concetto di “conquistare” non ha il significato che siamo abituati ad attribuire nell’esperienza cristiana. Gli antichi non avevano il discorso del “sangue” o della discendenza, proprio dei cristiani. La stessa radice ven- secondo vari studiosi attuali, ha il significato di “amato, amico” o quello di “conquistatori, vincitori”. Non è certo quale dei significati quei veneti attribuivano a sé stessi.
In ogni caso, fra i vari studi, se qualcuno è appassionato di storia, vale la pena di prendere quelle ipotesi in considerazione.


11 gennaio 2010
Claudio Simeoni
Meccanico
Apprendista Stregone
Guardiano dell’Anticristo
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