Ho caricato il commento al quarantasettesimo paragrafo dell’enciclica Spe Salvi di Ratzinger.
Si tratta del confronto psico-emotivo fra l’atteggiamento del Pagano Politeista di fronte alla morte e l’atteggiamento del cristiano
Vi invio un estratto dalla pagina:
http://www.stregoneriapagana.it/spesalvi47.html
-----Inizio dell’estratto dal commento al quarantasettesimo paragrafo dell’enciclica Spe Salvi di Ratzinger------
[...]
Continua Ratzinger:
“Nel momento del Giudizio sperimentiamo ed accogliamo questo prevalere del suo amore su tutto il male nel mondo ed in noi. Il dolore dell'amore diventa la nostra salvezza e la nostra gioia. È chiaro che la « durata » di questo bruciare che trasforma non la possiamo calcolare con le misure cronometriche di questo mondo. Il « momento » trasformatore di questo incontro sfugge al cronometraggio terreno – è tempo del cuore, tempo del « passaggio » alla comunione con Dio nel Corpo di Cristo.39 Il Giudizio di Dio è speranza sia perché è giustizia, sia perché è grazia. Se fosse soltanto grazia che rende irrilevante tutto ciò che è terreno, Dio resterebbe a noi debitore della risposta alla domanda circa la giustizia – domanda per noi decisiva davanti alla storia e a Dio stesso. Se fosse pura giustizia, potrebbe essere alla fine per tutti noi solo motivo di paura. L'incarnazione di Dio in Cristo ha collegato talmente l'uno con l'altra – giudizio e grazia – che la giustizia viene stabilita con fermezza: tutti noi attendiamo alla nostra salvezza « con timore e tremore » (Fil 2,12). Ciononostante la grazia consente a noi tutti di sperare e di andare pieni di fiducia incontro al Giudice che conosciamo come nostro « avvocato », parakletos (cfr 1 Gv 2,1).”
Sono consapevole che discutere di questo significa discutere di patologia psichiatrica: che cosa una persona immagina. L’immaginazione, se viene giustificata attraverso un “atto di fede”, diventa un’offesa alla società civile quando assume un qualche carattere di pretesa oggettività che viene imposto alla società e sovrapposto alla Costituzione.
Per riuscire a capire che cosa comportano le affermazioni di Ratzinger si deve pescare alla tradizione cristiana sul giudizio universale o giudizio finale.
[.......]
“Quando te ne stai seduto nella tua cella, raccogliti in te stesso e pensa al giorno della tua morte..., ti faccia orrore la vanità di questo mondo... Pensa anche a quanti sono all’inferno... Ma ricordati anche del giorno della resurrezione; cerca di immaginare anche il giudizio terribile di dio... gemi allora sui castighi riservati ai peccatori; piangi, immergiti nelle immagini delle loro lacrime, nel timore di essere partecipe alla loro rovina; poi, pensando ai premi promessi ai giusti, allietati, e stai allegro... Che il tuo spirito non perda mai di vista quanto ti ho detto, così che tu possa almeno fuggire i pensieri cattivi.”
Sant’Agostino che fu profondamente segnato dal monachesimo e che impose al proprio clero la vita comune e la povertà, fra tanti discorsi dedicati al tema della morte, scrisse anche queste parole: “E’ grazie ad una grande misericordia che iddio ci lascia ignorare il giorno della nostra morte perché così pensando ogni giorno di poter morire, vi diate cura di conservarvi”.
I passi citati ci consentono di intravedere un filo che percorre la tradizione monastica. E’ quest’ultima, infatti, che per prima ha vissuto ed insegnato il quotidie morior e la necessità di fare della vita una preparazione alla morte. Nel capitolo quarto della regola di san Benedetto (morto nel 543), troviamo gli incitamenti seguenti: “Temere il giorno del giudizio; aver paura dell’inferno; desiderare la vita eterna con ardore pienamente spirituale; avere ogni giorno davanti agli occhi l’eventualità della morte”. La “scala del paradiso” di san Giovanni Climaco (morto nel 600) reca al suo settimo gradino questo paragone illuminante, “Come il pane è l’alimento più necessario, così la meditazione sulla morte è l’atto più importante” e vi leggiamo anche quest’altra formula: “Come abitualmente si dice un abisso quell’acqua profonda di cui non si riesce ad arrivare al fondo (ed è perciò che le si dà questo nome), così il pensiero della morte produce in noi un abisso senza fondo di purezza e di opere buone”.
La spiritualità cistercense non mancò di adottare la meditazione sui “novissimi” eventi, e sebbene san Bernardo non abbia personalmente dato un’importanza capitale al pensiero della morte, tuttavia le generazioni venute dopo di lui tennero presenti sul tema alcune sentenze particolarmente eloquenti che era dato incontrare in un sermone rivolto ai suoi monaci. “ Che cosa sono i “novissimi”? – chiedeva loro il santo – dato che si dice che , se gli hai sempre presenti non peccherai mai? Sono la morte, il giudizio, la geenna. Che cosa c’è di più orribile della morte? Che cosa c’è di più terribile del giudizio? Ed è chiaro che non si possa immaginare nulla di più insopportabile della geenna. Di che cosa avrà mai paura uno che non trema, non è spaventato , non è sconvolto di paura al pensiero di una cosa simile?”.”
Jean Delumeau “Il peccato e la paura” ed il mulino pag. 93-94
Non esisteva la paura della morte prima dell’arrivo dei cristiani. La morte parte della vita al punto che Epicuro afferma: "Quando noi siamo, la morte non è; e quando è la morte, noi non siamo!"
Né gli Orfici avevano paura della morte.
Nelle laminette Orfiche si legge:
Laminetta d'oro di Petelia
Troverai a sinistra delle case di Ade una fonte,
e accanto ad essa eretto un bianco cipresso:
a questa fonte non avvicinarti neppure.
Ma ne troverai un'altra, la fredda acqua che scorre
dal lago di Mnemosyne: vi stanno innanzi i custodi.
Di': “Son figlio della Terra e del cielo stellato:
urania è la mia stirpe, e ciò sapete anche voi.
Di sete son arsa e vengo meno: ma datemi presto
la fredda acqua che scorre dal lago di Mnemosyne”.
Ed essi ti daranno da bere dalla fonte divina;
e dopo di allora con gli altri eroi sarai sovrana.
A Mnemosyne è sacro questo (testo): (per il mystes), quando
sia sul punto di morire [...]
in margine[...] la tenebra che tutt'intorno si stende
Trad. G. Pugliese Carratelli
Potremmo continuare con gli epigrammi votivi dall’Antologia Palatina, come, ad esempio:
“Anche te ha perduto, Cleanoride,
il desiderio della terra natia,
quando t’affidasti al turbine invernale
di Noto: la stagione ti aveva dubbioso
indugiato, ma poi gli umidi fiotti
travolsero la tua giovinezza fiorente.”
E si potrebbe continuare attraversando tutte le antiche religioni.
Ratzinger, dunque, esprime una patologia di terrore della morte come è stato educato. Sa del suo fallimento e lo teme. Per questo si affida al giudizio del suo dio, come ultima risorsa si è affidato all’illusione!
E i Pagani Politeisti?
Qual è l’atteggiamento nei confronti della morte dei Pagani Politeisti?
Vale la pena di riprendere un mio scritto in cui si parla della morte. La morte come momento felice. Qualcuno può aver paura di “come morirà”. Ma non della morte. I cristiani sono specialisti nel torturare a morte le persone anticipando la loro idea di dolore, fuoco infernale e stridor di denti. Loro, i cristiani, incutono terrore alle persone, ma la morte in sé non incute nessun terrore. La morte, in sé, è l’apoteosi del piacere della vita: la morte e l’unico istante della vita che possiamo chiamare, a pieno titolo: FELICITA’!
da:
http://www.federazionepagana.it/mortefelice.html
LA MORTE
E’
LA FELICITA’ UMANA
La morte del corpo fisico è l’unico momento in cui si esprime la felicità umana.
Tutta la vita dell’individuo è tesa verso la morte del corpo fisico.
La morte del corpo fisico è il traguardo che l’individuo deve raggiungere.
La morte del corpo fisico è il fine e la giustificazione della nascita di un individuo.
La morte del corpo fisico è la felicità dell’individuo.
Il dolore della vita, il dolore che la vita ha messo a fondamento delle trasformazioni degli individui, nella morte del corpo fisico si scioglie e si annulla.
Il trionfo dell’individuo c’è solo al momento della morte del corpo fisico.
Il momento della morte dell’individuo è il suo momento di verità. E’ il momento in cui l’individuo riassume l’intera propria esistenza. La morte è disperazione solo per chi ha vissuto da disperato, al di là di come ha tappato le proprie orecchie alla propria disperazione.
Eppure la morte è attesa da molti con terrore, come un momento da allontanare il più possibile. Altri la cercano affannosamente per alleviare le proprie angosce.
-----------Fine Estratto-------
Il resto ve lo leggete all’indirizzo:
http://www.stregoneriapagana.it/spesalvi47.html
--
Claudio Simeoni
Meccanico
Apprendista Stregone
Guardiano dell'Anticristo
P.le Parmesan, 8
30175 – Marghera Venezia
e-mail claudiosimeoni@libero.it
Si tratta del confronto psico-emotivo fra l’atteggiamento del Pagano Politeista di fronte alla morte e l’atteggiamento del cristiano
Vi invio un estratto dalla pagina:
http://www.stregoneriapagana.it/spesalvi47.html
-----Inizio dell’estratto dal commento al quarantasettesimo paragrafo dell’enciclica Spe Salvi di Ratzinger------
[...]
Continua Ratzinger:
“Nel momento del Giudizio sperimentiamo ed accogliamo questo prevalere del suo amore su tutto il male nel mondo ed in noi. Il dolore dell'amore diventa la nostra salvezza e la nostra gioia. È chiaro che la « durata » di questo bruciare che trasforma non la possiamo calcolare con le misure cronometriche di questo mondo. Il « momento » trasformatore di questo incontro sfugge al cronometraggio terreno – è tempo del cuore, tempo del « passaggio » alla comunione con Dio nel Corpo di Cristo.39 Il Giudizio di Dio è speranza sia perché è giustizia, sia perché è grazia. Se fosse soltanto grazia che rende irrilevante tutto ciò che è terreno, Dio resterebbe a noi debitore della risposta alla domanda circa la giustizia – domanda per noi decisiva davanti alla storia e a Dio stesso. Se fosse pura giustizia, potrebbe essere alla fine per tutti noi solo motivo di paura. L'incarnazione di Dio in Cristo ha collegato talmente l'uno con l'altra – giudizio e grazia – che la giustizia viene stabilita con fermezza: tutti noi attendiamo alla nostra salvezza « con timore e tremore » (Fil 2,12). Ciononostante la grazia consente a noi tutti di sperare e di andare pieni di fiducia incontro al Giudice che conosciamo come nostro « avvocato », parakletos (cfr 1 Gv 2,1).”
Sono consapevole che discutere di questo significa discutere di patologia psichiatrica: che cosa una persona immagina. L’immaginazione, se viene giustificata attraverso un “atto di fede”, diventa un’offesa alla società civile quando assume un qualche carattere di pretesa oggettività che viene imposto alla società e sovrapposto alla Costituzione.
Per riuscire a capire che cosa comportano le affermazioni di Ratzinger si deve pescare alla tradizione cristiana sul giudizio universale o giudizio finale.
[.......]
“Quando te ne stai seduto nella tua cella, raccogliti in te stesso e pensa al giorno della tua morte..., ti faccia orrore la vanità di questo mondo... Pensa anche a quanti sono all’inferno... Ma ricordati anche del giorno della resurrezione; cerca di immaginare anche il giudizio terribile di dio... gemi allora sui castighi riservati ai peccatori; piangi, immergiti nelle immagini delle loro lacrime, nel timore di essere partecipe alla loro rovina; poi, pensando ai premi promessi ai giusti, allietati, e stai allegro... Che il tuo spirito non perda mai di vista quanto ti ho detto, così che tu possa almeno fuggire i pensieri cattivi.”
Sant’Agostino che fu profondamente segnato dal monachesimo e che impose al proprio clero la vita comune e la povertà, fra tanti discorsi dedicati al tema della morte, scrisse anche queste parole: “E’ grazie ad una grande misericordia che iddio ci lascia ignorare il giorno della nostra morte perché così pensando ogni giorno di poter morire, vi diate cura di conservarvi”.
I passi citati ci consentono di intravedere un filo che percorre la tradizione monastica. E’ quest’ultima, infatti, che per prima ha vissuto ed insegnato il quotidie morior e la necessità di fare della vita una preparazione alla morte. Nel capitolo quarto della regola di san Benedetto (morto nel 543), troviamo gli incitamenti seguenti: “Temere il giorno del giudizio; aver paura dell’inferno; desiderare la vita eterna con ardore pienamente spirituale; avere ogni giorno davanti agli occhi l’eventualità della morte”. La “scala del paradiso” di san Giovanni Climaco (morto nel 600) reca al suo settimo gradino questo paragone illuminante, “Come il pane è l’alimento più necessario, così la meditazione sulla morte è l’atto più importante” e vi leggiamo anche quest’altra formula: “Come abitualmente si dice un abisso quell’acqua profonda di cui non si riesce ad arrivare al fondo (ed è perciò che le si dà questo nome), così il pensiero della morte produce in noi un abisso senza fondo di purezza e di opere buone”.
La spiritualità cistercense non mancò di adottare la meditazione sui “novissimi” eventi, e sebbene san Bernardo non abbia personalmente dato un’importanza capitale al pensiero della morte, tuttavia le generazioni venute dopo di lui tennero presenti sul tema alcune sentenze particolarmente eloquenti che era dato incontrare in un sermone rivolto ai suoi monaci. “ Che cosa sono i “novissimi”? – chiedeva loro il santo – dato che si dice che , se gli hai sempre presenti non peccherai mai? Sono la morte, il giudizio, la geenna. Che cosa c’è di più orribile della morte? Che cosa c’è di più terribile del giudizio? Ed è chiaro che non si possa immaginare nulla di più insopportabile della geenna. Di che cosa avrà mai paura uno che non trema, non è spaventato , non è sconvolto di paura al pensiero di una cosa simile?”.”
Jean Delumeau “Il peccato e la paura” ed il mulino pag. 93-94
Non esisteva la paura della morte prima dell’arrivo dei cristiani. La morte parte della vita al punto che Epicuro afferma: "Quando noi siamo, la morte non è; e quando è la morte, noi non siamo!"
Né gli Orfici avevano paura della morte.
Nelle laminette Orfiche si legge:
Laminetta d'oro di Petelia
Troverai a sinistra delle case di Ade una fonte,
e accanto ad essa eretto un bianco cipresso:
a questa fonte non avvicinarti neppure.
Ma ne troverai un'altra, la fredda acqua che scorre
dal lago di Mnemosyne: vi stanno innanzi i custodi.
Di': “Son figlio della Terra e del cielo stellato:
urania è la mia stirpe, e ciò sapete anche voi.
Di sete son arsa e vengo meno: ma datemi presto
la fredda acqua che scorre dal lago di Mnemosyne”.
Ed essi ti daranno da bere dalla fonte divina;
e dopo di allora con gli altri eroi sarai sovrana.
A Mnemosyne è sacro questo (testo): (per il mystes), quando
sia sul punto di morire [...]
in margine[...] la tenebra che tutt'intorno si stende
Trad. G. Pugliese Carratelli
Potremmo continuare con gli epigrammi votivi dall’Antologia Palatina, come, ad esempio:
“Anche te ha perduto, Cleanoride,
il desiderio della terra natia,
quando t’affidasti al turbine invernale
di Noto: la stagione ti aveva dubbioso
indugiato, ma poi gli umidi fiotti
travolsero la tua giovinezza fiorente.”
E si potrebbe continuare attraversando tutte le antiche religioni.
Ratzinger, dunque, esprime una patologia di terrore della morte come è stato educato. Sa del suo fallimento e lo teme. Per questo si affida al giudizio del suo dio, come ultima risorsa si è affidato all’illusione!
E i Pagani Politeisti?
Qual è l’atteggiamento nei confronti della morte dei Pagani Politeisti?
Vale la pena di riprendere un mio scritto in cui si parla della morte. La morte come momento felice. Qualcuno può aver paura di “come morirà”. Ma non della morte. I cristiani sono specialisti nel torturare a morte le persone anticipando la loro idea di dolore, fuoco infernale e stridor di denti. Loro, i cristiani, incutono terrore alle persone, ma la morte in sé non incute nessun terrore. La morte, in sé, è l’apoteosi del piacere della vita: la morte e l’unico istante della vita che possiamo chiamare, a pieno titolo: FELICITA’!
da:
http://www.federazionepagana.it/mortefelice.html
LA MORTE
E’
LA FELICITA’ UMANA
La morte del corpo fisico è l’unico momento in cui si esprime la felicità umana.
Tutta la vita dell’individuo è tesa verso la morte del corpo fisico.
La morte del corpo fisico è il traguardo che l’individuo deve raggiungere.
La morte del corpo fisico è il fine e la giustificazione della nascita di un individuo.
La morte del corpo fisico è la felicità dell’individuo.
Il dolore della vita, il dolore che la vita ha messo a fondamento delle trasformazioni degli individui, nella morte del corpo fisico si scioglie e si annulla.
Il trionfo dell’individuo c’è solo al momento della morte del corpo fisico.
Il momento della morte dell’individuo è il suo momento di verità. E’ il momento in cui l’individuo riassume l’intera propria esistenza. La morte è disperazione solo per chi ha vissuto da disperato, al di là di come ha tappato le proprie orecchie alla propria disperazione.
Eppure la morte è attesa da molti con terrore, come un momento da allontanare il più possibile. Altri la cercano affannosamente per alleviare le proprie angosce.
-----------Fine Estratto-------
Il resto ve lo leggete all’indirizzo:
http://www.stregoneriapagana.it/spesalvi47.html
--
Claudio Simeoni
Meccanico
Apprendista Stregone
Guardiano dell'Anticristo
P.le Parmesan, 8
30175 – Marghera Venezia
e-mail claudiosimeoni@libero.it
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