martedì 21 dicembre 2010

Il Crogiolo dello Stregone e alcune puntualizzazioni sul come uso il concetto di Ragione. - Prima Parte


Ho ricevuto una serie di puntualizzazioni al Crogiolo dello Stregone in merito all'idea di RAGIONE.

Sono affermazioni alle quali intendo rispondere, ma penso che sia interessante far conoscere delle puntualizzazioni di chi ha letto qualche cosa.

Nei prossimi post, pubblicherò le mie osservazioni. Intanto ecco quella del mio interlocutore:


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La ragione


Il termine “ragione” credo sia uno dei più ingiustamente bistrattati. Spesso si confonde ragione con razionalismo o con razionalizzazione, ossia con l'uso scorretto della ragione, che non è più ragione, ma anzi il suo contrario. Spesso si contrappone la ragione con “l'rrazionale”, l'”inconscio”, “il magico”. O anche si contrappone ragione e sentimento, ragione ed emozione.
Secondo me tutte queste contrapposizioni non hanno motivo di esistere. La ragione non si oppone o contrappone a nulla, perchè la ragione vuole comprendere qualsiasi cosa, e non ha interessa ad escludere nulla. Ogni dato di fatto è per la ragione indiscutibile e irrinunciabile, per la ragione conta solo cio che è, e tutto ciò che è. I problemi sorgono quando la coscienza viene manomessa, imprigionata in una rete di inibizioni e coazioni imposta dall'esterno (dalla società costituita). A quel punto la ragione diventa una anti-ragione (una sorta di antimateria razionale). Applica filtri non più in base alle necessità temporanee di elaborazione delle informazioni, ma in base a leggi precostituite e prive di relazione con gli scopi della ragione stessa. Appare come asservita a una volontà esterna, anche se non sappiamo di che volontà si tratti, e a chi o cosa faccia riferimento. Infatti le costrizioni imposte dalla “civiltà” per mezzo delle religioni, le leggi dello stato, le regole morali, le tradizioni, le usanze, eccetera, spesso non sono funzionali a niente che riguardi la conservazione o l'evoluzione dell'individuo o della specie. Assomigliano piuttosto a processi di parassitismo, dal momento che buona parte dell'energia dell'individuo viene deviata verso azioni ed emozioni disfunzionali sia per l'individuo sia per la specie, anche se i “parassiti” restano invisibili (gli stessi detentori del potere sono personalità maniacali e coatte, quindi essi stessi vittima di questo “parassitismo energetico”).
Nel seguito discuto del termine ragione, del suo uso e del suo significato, in riferimento ad alcuni pensieri tratti da scritti di Claudio Simeoni, che cito in caratteri corsivi.


L'insieme del mondo che riusciamo a descrivere mediante le parole si chiama "ragione". Quanto non riusciamo a descrivere mediante le parole lo chiamiamo "percezione", o altri nomi a seconda dei riferimenti che facciamo.
Il bastone dello Stregone è dunque formato da


la sospensione del dialogo interno, attraverso la quale l'Apprendista Stregone limita il potere assoluto della sua ragione;


la sospensione del giudizio attraverso la quale l'Apprendista Stregone percepisce nuovi fenomeni senza per questo descriverli o elencarli;

un atteggiamento sociale scettico attraverso il quale sviluppare se stesso senza sottomettersi socialmente.


Ma dire che la ragione consiste nell insieme del mondo che riusciamo a descrivere mediante le parole mi sembra fuorviante. Direi piuttosto:
La ragione è la facoltà di elaborazione dei dati sensibili (esterni e interni). Può essere definita come l'insieme di regole e procedure seguite dalla coscienza nell'esercizio dell'intelligenza. Essa crea una mappa del mondo utilizzando la quale dirige le azioni. Ma tra i dati a disposizione della ragione non ci sono solo quelli della mappa. La ragione (l'intelligenza) sa che la mappa è solo una mappa, cioè sa anche che la mappa si riferisce a qualcos'altro, e quindi sa che per acquisire nuove informazioni deve interrompere il filtraggio (che effettua normalmente per restringere l'ambito della sua elaborazione alle informazioni già elaborate e inserite nella mappa - che altro non è che un sistema di definizioni e relazioni) e lasciar entrare informazioni prive di relazioni riconosciute con quelle già inserite nella mappa (e che quindi la ragione non sa ancora dove mettere). In sostanza si tratta di destinare una certa quantità di risorse (memoria e capacità di elaborazione) a elementi non immediatamente relazionabili e quindi non inseribili nella mappa. Questo garantisce una continua evoluzione e un continuo adattamento, a patto che le nuove informazioni vengano poi elaborate e inserite della mappa, arricchendola in quantità e qualità d'informazione.
Non vedo motivo per contrapporre la ragione ad altre (spesso indefinite o vaghe) facoltà di apprendimento. La percezione ha anch'essa una “ragione”, una razionalità, che è diversa rispetto alla ragione associata alla coscienza ordinaria. La ragione in generale non è altro che ordinamento (attraverso relazioni) ed elaborazione dei dati ricevuti attraverso tutti i canali di comunicazione disponibili. La percezione deve essere il risultato di una forma di elaborazione (quindi opera di una forma di ragione) perchè i dati forniti sono già strutturati e in relazione tra loro senza un intervento cosciente. Ad esempio vedo un uomo e una donna che camminano abbracciati. Le immagini dei corpi, ben distinti tra loro e la relazione spaziale tra loro e con l'ambiente circostante sono già definiti a livello percettivo, ossia inconscio (dal punto di vista della coscienza ordinaria). La ragione “ordinaria” elabora poi questa percezione, associando, ad esempio, il pensiero “quei due stanno insieme”.

Se noi sospendiamo il giudizio viviamo con molta fatica nella società umana ed allora usiamo un espediente: il giudizio di necessità.


Il giudizio di necessità è quello che dice: io penso che quella cosa debba essere in quel modo e dal momento che debbo agire agisco di conseguenza, però, se scopro che le cose possono non stare in quel modo, torno immediatamente indietro, cambio il mio giudizio di necessità e modifico la direzione della mia azione.


Il giudizio di necessità mi consente l'azione ma non mi sottomette al giudizio espresso; mi consente di cambiare opinione ogni volta che al mio pensato si aggiungono nuovi elementi e nuovi fenomeni.

Quanto sopra lascia intendere una concezione del giudizio che, pur essendo quella più diffusa e appartenente al senso comune, considero falsa e deviante. Il giudizio, se vogliamo essere seri, non può mai essere “vero o falso”, “bianco o nero”. Se, una volta che ho deciso che una cosa è “vera”, mi comporto come chi ha la certezza che le cose stanno in quel modo, non sto esercitando la ragione. Perchè la certezza è estranea alla ragione, che invece è cosciente della provvisorietà e dell'incompletezza di ogni rappresentazione.
Simeoni esprime questo concetto per mezzo del “giudizio di necessità”, ossia un giudizio privato del suo carattere “normativo” e ridimensionato al suo ruolo pratico, di mezzo provvisorio e mutevole per indirizzare le azioni in base al proprio intento. Ma questo “giudizio di necessità” coincide allora col giudizio tout court, correttamente inteso. Infatti un retto giudizio non ha mai la pretesa di essere assoluto o immutabile, ma è cosciente dei suoi limiti.
Insomma, non c'è da sospendere il giudizio, ma l'attività coatta di processi pseudo-razionali, pensieri caotici o ossessivi, che interferiscono con la percezione, e l'azione di censura preventiva esercitata dai condizionamenti sociali. La ragione, da parte sua, si limita a elaborare la percezione senza pre-dirigerla (a meno che non si voglia coscientemente focalizzare un determinato aspetto).
La ragione ha i mezzi, non solo per emettere giudizi, ma anche per emettere giudizi sui suoi stessi giudizi. Quindi per giudicare l'attendibilità dei suoi giudizi.
La ragione sa di disporre solo di un numero limitato di informazioni estratte da una banca dati illimitata. Sa quindi che i suoi giudizi hanno sempre un margine di fallacia, una percentuale di probabilità di esser veri e una complementare probabilità di esser falsi. E' anche quel 'vero' è relativo, è sempre parziale, e quindi mai “vero al cento per cento”. La ragione tiene conto di questo e non conclude mai: “questo è così”, ma argomenta “questa descrizione di certi fenomeni, in base ai dati raccolti e alla loro elaborazione, ha molte probabilità di essere confermata da ulteriori osservazioni” e quindi “può essere provvisoriamente considerata come 'vera' e inserita nella mappa”. La quale mappa non è qualcosa di fisso ma è in continua evoluzione, crescita, perfezionamento. E' cioè una mappa dinamica.
Non solo la mappa è variabile, ma i suoi dati sono associati a un grado di probabilità variabile: non c'è vero o falso, ma diversi gradi di probabilità di esser vero, e anche questi valori di probabilità cambiano nel tempo (esiste anche una branca della logica, chiamata “fuzzy logic”, logica sfumata, che formalizza questi concetti)
Quello che Simeoni chiama “il potere assoluto della ragione” non appartiene alla ragione. Perchè la ragione sa di non poter esercitare, e non ha motivo di esercitare un potere assoluto. Il potere appartiene alla “ragione dell'ego”, dove per ego intendo una immagine statica e distorta dell'io (con la sua mappa alterata della realtà in cui l'io diventa il centro, in analogia con la concezione geocentrica del cosmo di secoli fa), che sostituisce l'io nelle sue funzioni.Il problema è la mappa statica. Se si ha una mappa statica e distorta, sarà impossibile dare giudizi esatti con sufficiente approssimazione. La quantità di interpretazioni errate sarà tanto più alta, quanto maggiore è la staticità e la distorsione della mappa.E il fatto che la mappa sia statica e distorta non è imputabile alla ragione, ma ai condizionamenti sociali, che, con insistenza e violenza, indirizzano l'attenzione verso certi aspetti della realtà e la distolgono da altri, impongono certe interpretazioni della realtà e ne vietano altre. O addirittura impongono realtà inesistenti, incoerenti, insensate, contrarie alla ragione, come nelle religioni monoteiste e nelle superstizioni di ogni genere.
Quindi non si tratta del “potere assoluto della ragione”, ma della manomissione della ragione, che viene ridotta allo strumento unidirezionale e maniacale della volontà di potere, quando questa si chiude in sè stessa, generando un “autismo del potere” nel quale l'autoaffermazione è l'unico valore, e perciò tende all'assoluto. Questo autismo ha una forma attiva e una passiva (sado-masochismo). La forma passiva implica una sorta di identificazione nel “padrone” e nella sua onnipotenza, che il masochista alimenta e cura con la sua incondizionata sottomissione. Come dire: non posso essere onnipotente ma posso diventare proprietà, e quindi parte, di un'entità onnipotente. Un tale sistema ha bisogno di rigore, di inflessibilità, di chiusura: i ruoli devono restare fissi, la mappa deve restare immutata, e ogni trasgressione deve essere punita (a alla trasgressione e la punizione si riduce l'unico dinamismo del sistema).
D'altra parte, se la mappa deve essere variabile, è chiaro che non deve esserlo troppo, deve comunque conservare un alto grado di stabilità, pur essendo continuamewnte disposta al mutamento. Perchè il mutamento non deve essere tale da causare un disorientamento, ossia un'incapacità temporanea ma durevole (o peggio, permanente, come nella malattia mentale) di rappresentare la realtà in maniera coerente e comprensibile.
Ma ora come ora, nella nostra “civiltà”, lo stato “normale“ della ragione è una sorta di delirio di onnipotenza, in cui la ragione finge e si auto-illude di aver raggiunto la sua irraggiungibile meta, la comprensione totale, blindando la conoscenza acquisita (la mappa) e dandola per verità assoluta, ignorandone qualunque incongruenza e qualunque lacuna. Così facendo la ragione, lungi dal divenire onnipotente, rinuncia a gran parte delle sue potenzialità, riducendosi a semplice meccanismo asservito a un unico compito ripetitivo e immutabile: la salvaguardia della mappa e delle sue relazioni interne, ossia delle sue verità e delle sue regole. Ma questa non è più ragione, in quanto ha ben poco di ragionevole, andrebbe caso mai chiamata 'pseudo-ragione egoica' o qualcosa di simile.
Sul ruolo della ragione, lo stesso Simeoni corregge il tiro quando parla del sapere e del chiedersi il perchè delle cose:


Nel Crogiolo mettiamo il chiedersi il perché delle cose. Attraverso quest'attività, mentre mescoliamo usando il nostro bastone, approfondiamo il nostro giudizio di necessità che diventa la nostra verità. La verità della ragione, la verità in grado di misurare la nostra capacità di chiederci il perché delle cose. La verità della spiegazione che ci pone la grande sfida: o l'individuo ne modifica i confini violandola continuamente o la verità si appropria dell'individuo mettendo fine al suo chiedersi il Perché delle Cose!


La ragione aumenta il suo Sapere dilatandosi. Le sue descrizioni e i suoi giudizi di necessità sono sempre più profondi e più articolati. Non è più una ragione povera e misera che finge di non vedere i fenomeni per non doverli spiegare, ma è una grande ragione attenta e curiosa al nuovo che le si presenta.


In sintesi, il concetto che voglio evidenziare, è che contrapporre la ragione a qualche facoltà di comprensione extrarazionale può solo portarci fuori strada: la ragione, puro strumento di elaborazione di informazioni, è l'unico mezzo per acquisire conoscenza, altrimenti si hanno solo percezioni, impressioni, dati grezzi, non elaborati e senza relazione con altri dati. E la ragione non ha limiti definiti, perchè ha i mezzi per rinnovare continuamente sè stessa.
Si tratta di usare la ragione in modo corretto, liberandola dai condizionamenti e dai pregiudizi, ma dobbiamo comunque tener presente che quando facciamo questo, stiamo sempre usando la solita ragione. Non qualcos'altro, ma la solita ragione purificata, disinfestata dai condizionamenti sociali. Altrimenti ci mettiamo alla ricerca di mitiche facoltà superrazionali, quando si tratta solo di riaggiustare e far evolvere quello che c'è. E' sufficiente accogliere i dati che normalmente non consideriamo, rimuovendo le inibizioni che ci inducono a scartarli, senza usare nessuna facoltà diversa dalla ragione per elaborarli e conferire loro un senso.
La sospensione del dialogo interno e del giudizio non sono estranei o “esterni” alla ragione, ma si svolgono nel suo ambito e con la sua supervisione, perchè ragione non significa applicazione coatta di un insieme di regole, nè azione mentale coatta nel momento in cui si dovrebbe lasciar spazio alla percezione, ma elaborazione cosciente dei dati vecchi e nuovi, che determinano una continua espansione e un continuo rinnovamento della mappa della realtà.

Il grande problema della ragione si ha quando si trasferisce il metodo dalla relazione fra gli Esseri Umani alla relazione all'interno del singolo Essere. Il singolo Essere Umano non è ragione, è magia!


Per voler semplificare dirò che il mio cuore batte comunque sia che io conosca la biologia della circolazione sanguigna sia che io non la conosca. Gli Esseri Umani nascono e crescono obbedendo a stimoli e leggi anche senza essere in grado di descrivere quegli stimoli e quelle leggi. I comportamenti che un soggetto ha obbedendo alla costruzione iniziale della propria struttura del DNA sono uguali sia che egli conosca l'esistenza di quella struttura che non la conosca.


L'individuo è magia in quanto anche se lui non è in grado di conoscere la propria struttura questa sviluppa un numero tali di stimolazioni per cui egli è in grado di crescere e svilupparsi comunque.


Ma la “magia” non è altro che una parte della realtà che la ragione non ha ancora rappresentato in maniera coerente e relazionata all'interno della sua mappa del mondo. Questo non significa che sia in conflitto, o estranea alla ragione. Ovviamente anche la magia si accorda con la ragione, solo obbedisce a leggi che la ragione non ha ancora definito e rappresentato. La circolazione sanguigna funziona senza l'intervento della coscienza (sarebbe meglio dire della coscienza individuale ordinaria), ma tuttavia segue delle leggi. E queste leggi, per come le conosciamo, sono ovviamente razionali, nè potrebbe essere diversamente, perchè la ragione è semplicemente l'ordine delle cose. E se si ritiene, come sembra asserire lo stesso Simeoni, che la coscienza pervada l'intero universo, allora perchè non supporre, come ipotesi più logica, che il nostro corpo, i nostri organi, siano guidati da una consapevolezza? Una consapevolezza diversa da quella di ciò che chiamiamo “io”, una consapevolezza inaccessibile alla nostra “coscienza di veglia”, ma pur sempre una consapevolezza, e un'intelligenza, capace di esercitare la ragione. Il funzionamento del nostro corpo, potrebbe benissimo essere guidato da un'insieme di consapevolezze distinte e interagenti. Tutto questo, se risultasse vero, non sarebbe affatto in conflitto con la ragione, anzi renderebbe più intelligibili molti fenomi che la nostra ragione, allo stato attuale delle sue conoscenze, non è in grado di comprendere.


L'individuo adulto è colui che si espande nel mondo in cui vive. Per farlo espone la sua struttura emozionale.

Il NON adulto nasconde la propria struttura emozionale dietro alla barriera della ragione, a dure corazzature razionalistiche con le quali giustifica la separazione fra sé e il mondo in cui vive.


Anche qui trovo una confusione di termini. La ragione non può, per sua stessa natura, costruire barriere che bloccano l'espressione e il libero scambio emozionale, perchè la ragione è onesta ricerca della verità, non ha alcun interesse a mistificare e nascondere. La ragione non conosce menzogna, ma solo le sue leggi intrinseche: le leggi della ragione, appunto, che non sono mai in contrasto con la realtà. La ragione cerca di comprendere la realtà, sa bene che falsificarla significa rinunciare a comprenderla. Nella frase precedente c'è ancora una volta confusione tra ragione in quanto tale, e ragione sabotata e distorta dai processi educativi e dalla costante pressione sociale. Sone queste distorsioni a produrre le barriere, sono i guasti della ragione, ossia l'irragionevolezza, a generare le barriere, non la ragione stessa.
Al di fuori della ragione c'è solo credenza nei miti: ossia prendere per realtà una descrizione o una fantasia, prendere per vero un racconto (mito) senza averne mai verificato la corrispondenza con la realtà dei fatti. Che porta alla distruzione dell'intelligenza, dell'autonomia, della libertà, della dignità dell'essere umano. Credere significa accettare il principio d'autorità, mentre la ragione non accetta alcuna autorità se non quella della percezione diretta dei fenomeni, e dei risultati dell'elaborazione dei dati percepiti (nei limiti del contesto in cui tale elaborazione dimostra validità ed efficacia).

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NOTA: non ho messo il nome del mio interlocutore, sono interessato ai concetti, non alle persone. Qualora me lo chiederà sarò ben felice di mettere le indicazioni che vorrà.

Questo è quanto mi invia.
A questo oppongo le mie "ragioni"


Entra nel circuito del pensiero religioso, sociale, economico ed etico della Religione Pagana!

21 dicembre 2010
Claudio Simeoni
Meccanico
Apprendista Stregone
Guardiano dell’Anticristo
P.le Parmesan, 8
30175 – Marghera Venezia
Tel. 3277862784
e-mail claudiosimeoni@libero.it


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